DESO
Indicazioni sull'oggettoStatua di Leda di profilo, stante e nuda in un atteggiamento di compiacente erotismo di fronte a un cigno di grandi proporzioni, che, nel protendere il becco verso le sue labbra, la avvolge in un coinvolgente e vibrante amplesso in cui entrambi i corpi aderiscono completamente l'uno all'altro, tanto da costituire, nell'insieme, un quadro sintattico-grammaticale armoniosamente unitario. La figura di Leda si caratterizza per la pettinatura a scriminatura centrale, con ciocche ondulate che si dipartono per raccogliersi in una crocchia dietro la nuca e in un nodo a nastro all'apice del capo. Il modellato del corpo è modulato da una delicata e diffusa luce radente, in contrasto con la superficie scabra delle piume delle grandi ali dell'animale, creando un effetto plastico-coloristico di notevole pregio.
Nella parte posteriore vi è un sostegno a forma d'albero; esso era nascosto alla vista, poiché il retro della scultura è piatto e appena sbozzato. Il gruppo si imposta su un plinto modanato di forma ovale.
DESS
Indicazioni sul soggettoLa scultura raffigura Leda, la regina di Sparta, mentre si accoppia con Zeus sotto le sembianze di cigno. Il soggetto ha sempre trovato ampia risonanza, sia in antico che in età moderna, a partire dall’età rinascimentale (XVI secolo). Il motivo, creato nel V sec. a.C., si è tradotto in due archetipi principali, differenti per l’impostazione concettuale, ma entrambi oggetto di numerose rielaborazioni o repliche di età ellenistica e romana. Il primo, che ripropone la versione classica quale ci è stata trasmessa dalla Elena di Euripide, si data alla fine del V sec. a.C. e si identifica principalmente nel gruppo del Museum of Fine Arts di Boston, ripreso poi dal famoso gruppo del Museo Capitolino, ritenuto oramai universalmente una copia di Timoteo, realizzata intorno al 360 a.C. Il secondo archetipo è invece stato creato nel periodo ellenistico e si differenzia sia per la concezione compositiva, in cui Leda appare per lo più stante (o distesa) e completamente nuda, sia per l’interpretazione contenutistica, poiché l’amplesso si compie in un atteggiamento di completo e lascivo abbandono. Il tipo cui si deve far ricondurre la scultura di Venezia, riferibile al secondo archetipo con le immagini accoppiate stanti, è da rapportare a un originale prototipo pittorico, di cui si ha un ampio riscontro in numerose opere scultoree e pittoriche dell’età ellenistica e romana, nonché nella glittica e in alcuni prodotti di terra sigillata. Tra le opere scultoree meritano di essere ricordate almeno i rilievi conservati, rispettivamente, al Museo di Aphrodisias in Turchia e nel Museo di Heraklion di Creta, mentre tra le raffigurazioni pittoriche i dipinti provenienti da Pompei ed Ercolano, ora conservati al Museo Nazionale di Napoli. Di questo tipo si hanno anche numerose varianti, tra cui lo stesso gruppo di Venezia, che si distingue per la stretta aderenza dei corpi quale elemento maggiormente caratterizzante. Del tutto privo di profondità spaziale e concepito per essere visto solo frontalmente, esso si inserisce pienamente nella corrente dell’ultimo ellenismo quando vengono create opere godibili esteticamente solo dal lato frontale. Secondo la critica, il prototipo deve essere stato elaborato in ambito attico intorno al 50 a.C., come confermerebbe anche la riproduzione del medesimo soggetto sul sarcofago di Kephissià, che raffigura in copia statue di officina o scuola ateniese, secondo un’iconografia strettamente affine a quella di Venezia.