OSS
Osservazionila lavorazione dei chiodi, avveniva nelle cosiddette officine da chiodi #ffusìne#. Si trattava di stabilimenti composti di diversi focolari #fuoch# circondati ognuno da due, tre e anche quattro ceppi #thòche# muniti di incudine #fitor#. Per produrre artigianalmente i chiodi, si utilizzava una verga di ferro di diametro variabile. Si iniziava l'operazione ponendo sul fuoco il metallo, lavorandolo successivamente sull'incudine con il martello fino a fargli assumere sezione quadrata, assottigliandolo ad una estremità, per poi ricavarne la punta. Una volta completato il corpo del chiodo, si tagliava la verga alla misura desiderata appoggiandola trasversalmente sopra un'incudine con scalpello #taiador da fitor# e inferendole un colpo secco. Per foggiare la testa dei chiodi, si inseriva nel foro quadrato del #fitor# uno stampo #ciaudèra#: essa varia di forma in base al tipo di chiodo da eseguire. Una volta infilato nella fessura, il chiodo veniva sottoposto ad una serie di colpi che ne modellavano la testa in varie forme: rotonda, quadrata, schiacciata o sfaccettata. Per togliere dalla #ciaudèra# il chiodo finito, esiste un dispositivo, introdotto in una fenditura dello stampo da un lato, costituito da un bilanciere #paléta#: una estremità di questo, all'interno dello stampo, viene a contatto con un piccolo chiodo #balarìn# che si muove verticalmente; con un colpo assestato sulla estremità esterna del bilanciere, questa si abbassa e la #paléta# nell'interno fa risalire il #balarìn#, che a sua volta urtando contro il gambo del chiodo lo espelle dalla #ciaudèra#. Nelle officine costruite lungo il Maè, la Malisia, la Prampera e il Mareson si producevano chiodi e bullette, mentre nelle officine di Dont si fabbricavano zappe, zapponi, asce e altri strumenti per l'agricoltura. Le numerose #fusìne# che sorgevano lungo i corsi d'acqua sono state travolte da successive alluvioni. Resta attualmente la #fusinèla# di Pralongo, che è l'unica che attesti l'antica attività dei #ciodaròt#.